L'aspetto complessivo dell'attuale Chiesa si deve a Giuliano
Cupioli, attivissimo architetto e capomastro riminese, che in
questa occasione volle cimentarsi direttamente con la stesura
del progetto che poi la sua stessa impresa realizzò. Ciò avvenne
dieci anni dopo il compimento di un'altra opera riminese dovuta
allo stesso Cupioli, ovvero la fabbrica del Seminario, in buona
parte ancora visibile, a fianco del Tempio Malatestiano.
In realtà Cupioli aveva già affrontato lavori impegnativi come
la costruzione della Chiesa di S. Agostino a Cesena (disegno
del Vanvitelli), quella di S. Francesco nella stessa città e
la ricostruzione della Chiesa del Crocifisso a Longiano, solo
per fare degli esempi. Nel 1776 Gaetano Cupioli, figlio di Giuliano,
curò poi la riedificazione dell'Oratorio di S. Nicola da Tolentino,
la cui facciata è ancora visibile all'incrocio tra via Amaduzzi
e via Garibaldi.
Per quanto riguarda le forme date a S. Giovanni Battista, esse
richiamano quelle caratteristiche del tardo barocco bolognese;
aggiungiamo che a noi che oggi l'osserviamo, il lavoro del Cupioli
ci pare del tutto dignitoso e non privo di una sua composta
eleganza, facendo apparire senz'altro eccessive le critiche,
anche pesanti, piovute sul progettista al suo tempo.
La facciata, che rende evidente l'impianto interno ad unica
navata con cappelle laterali, è su due ordini, attraversata
da una sobria trabeazione, ed è solcata da lesene che, nell'ordine
superiore terminano con capitelli ionici in pietra: su questi
poggia un fronte arcuato mentre ai lati, su alti piedistalli,
sono due statue che rappresentano S. Giovanni Battista, a sinistra,
ed il Profeta Elia, a destra; si tratta di lavori tardi di Carlo
Sarti (?- 1773 c:), un artista bolognese assai attivo a Rimini
intorno alla metà del XVIII secolo e numerose sue opere sono
ancora visibili in molti edifici sacri cittadini (es.: in S.
Croce, in S. Agostino, in S. Bernardino).
Le due statue della nostra facciata subirono gravi danni nel
terremoto del 1916 e nella Seconda Guerra Mondiale: quella di
S. Giovanni Battista fu notevolmente manomessa in vari restauri,
mentre per quella di Elia "... appare assai vivace nel movimento
a chiasmo sottolineato dai panneggi fortemente segnati e assolve
assai bene al compito che le è affidato" (P.G. Pasini, Carlo
Sarti statuario, 1970). Aggiungiamo anche che un recentissimo
restauro di tutta la facciata ne ha consentito una completa
pulitura restituendo ai lavori del Sarti il loro originario
significato scenografico nel contesto di tutto l'insieme.
Un cenno merita anche il bel portale in pietra che mostra sull'architrave
sei stelle a otto punte, nonché iscrizioni con la dedica al
Santo titolare, il nome del Priore che commissionò la costruzione
e l'anno del termine dei lavori. Indichiamo anche come la veduta
della chiesa sia particolarmente suggestiva nelle ore serali:
è infatti l'unico edificio sacro cittadino dotato di una illuminazione
notturna concepita per esaltarne i valori architettonici.
Al suo interno la chiesa è un edificio a navata unica affiancata
da tre cappelle per parte con le due centrali notevolmente più
alte delle altre e sporgenti all'esterno. Sul presbiterio si
innalza la cupola e il catino, mentre le volte che coprono la
navata sono tagliate da grossi spicchi che permettono l'apertura
di finestroni laterali, in alto. Va ricordato tuttavia che l'aspetto
generale dell'interno, oggi molto ricco in termini di marmi
colorati ed affreschi, è risultato di interventi relativamente
recenti terminati nel 1965 che hanno un po' alterato la sobria
luminosità originale.
Al centro della navata, in alto, è il grande stemma dei Carmelitani
con le tre caratteristiche stelle a otto punte: è sorretto da
due angeli e si tratta di una delle belle composizioni in stucco
con le quali Antonio Trentanove decorò l'intero edificio: parleremo
diffusamente di questo stuccatore a proposito dell'ancona della
Vergine del Carmine.
Venendo a trattare delle cappelle, iniziamo con la prima a sinistra
di chi entra, che presenta quella che probabilmente è l'opera
pittorica più famosa e citata delle molte contenute in S. Giovanni
Battista.
Si tratta della "Madonna col Bambino con S. Andrea Corsini,
S. Teresa e S. Maria Maddalena de' Pazzi" realizzata intorno
al 1631 da Guido Cagnacci (1601-1663), pittore santarcangiolese.
Parlare ora di Guido Cagnacci, del suo "genio e sregolatezza",
dell'importanza della dimensione "carnale" nelle sue opere e
nella sua vita sarebbe certamente lungo e quindi senz'altro
non opportuno in questa sede. ( vicende
artistiche )
Veniamo ora al quadro: olio su tela 335x210 cm.
Vi sono rappresentati, nella pala del Cagnacci, tre santi carmelitani
che furono elevati agli onori degli altari nel decennio precedente
a quello dell'esecuzione del quadro che è datato, come si è
detto, al 1631.
Si tratta di S. Maria Maddalena de' Pazzi, di S. Teresa d'Avila,
e, più in alto, di S. Andrea Corsini, che è raffigurato nell'atto
di celebrare la sua prima messa, momento in cui egli ebbe la
visione della Vergine con il Bambino benedicente. Per quanto
riguarda S. Maria Maddalena de' Pazzi, essa è rappresentata
con il pane in mano, simbolo della Eucarestia a lei somministrata
da Cristo stesso; la corona di spine allude alle sofferenze
della Passione della quale ella venne messa a parte.
La qualità e tecnica raffinatissima nel rendere gli incarnati
e gli effetti della luce è evidente, tanto che l'opera è stata
definita la "qualitativamente più alta e più indicativa del
primo aspetto dell'arte del Cagnacci" (R. Roli) e si colloca
tra le "opere che toccano la più splendida capacità inventiva
e pittorica, degna delle grandi libertà artistiche del secolo"
(W. Bergamini).
In realtà, tra le tre estasi mistiche, quella che immediatamente
più colpisce è quella di S. Teresa: "più spettacolare della
Vergine Morta del Caravaggio, ma più intensa di un Lanfranco,
abbandonata al viola cianotico delle labbra schiuse, alle ombre
che le feriscono gli occhi semispenti, e non ancora alleviata
dal gran fremito che consolerà più tardi la Teresa berniniana"
(F. Arcangeli, 1959).
Dopo questa serie di citazioni ci pare che altro non rimanga
che affidare il visitatore alle personali suggestioni che inevitabilmente
quest'opera susciterà.
La cappella seguente, sempre sul lato sinistro, mostra una tela
di Andrea Boscoli (1550-1606) fiorentino, allievo di Santi Titi,
quest'ultimo "tenuto il miglior pittore di quest'epoca (XVI-XVII
secc.)" (L. Lanzi, 1831).
Andrea Boscoli "viaggiò fuor di stato, lasciando pitture in
diversi paesi, a S. Ginesio, a Fabriano, in altri luoghi del
Piceno. La maggiore opera che ne vedessi, è un S. Giovanni Battista
a' Teresiani di Rimino in atto di predicare ..." (L. Lanzi,
Storia pittorica d'Italia, vol. I, pp. 231-232, 1831).
Il soggetto della pittura è un S. Giovanni Battista predicante
dipinto nei modi e con i colori accesi degli ultimi esiti della
pittura manierista; è firmato in basso a sinistra: ANDREAS
BOSCOLUS. FLORENT./PINXIT/1599.
Fu in realtà ridipinto e risagomato nel 1890 ad opera di Andrea
Renzi, pittore corianese e sino al 1959 si trovava dietro all'altare
maggiore. In quell'anno fu restaurato e trasportato nella cappella
ove ora si trova.
Non era per altro questa l'unica pala presente in città di quest'artista,
che ne aveva dipinta un'altra per l'altare maggiore di S. Giorgio
in Foro, una chiesa distrutta ormai da molto tempo, che si trovava
nell'odierna piazza Tre Martiri.
Il "pannarone" di stucco sostenuto da angeli che circonda il
quadro del Boscoli è opera di Giuseppe Mazza, stuccatore anch'egli
proveniente da Bologna, attivo in Rimini nel periodo immediatamente
precedente a quello di Carlo Sarti (metà XVIII secolo).
Questo stucco, definito "stupendo" per la sua eleganza da P.G.
Pasini, fu in realtà compiuto per la chiesa di S. Antonio (nominata
in precedenza come S. Giorgio Antico) che apparteneva ai Teatini
riminesi. Il "pannarone" fu qui portato dopo il terremoto del
1916 che danneggiò quell'edificio, poi definitivamente distrutto
nella seconda Guerra Mondiale. S. Antonio si trovava davanti
al Tempio Malatestiano, dove ora è un prato.
La cappella successiva, la terza a sinistra, ospita una tela
di un pittore riminese attivo tra XVIII e XIX secolo, Giuseppe
Soleri Brancaleoni (1750-1806). Vi è rappresentato il
martirio del Santo Patrono della città di Rimini. S. Gaudenzo.
Il santo è raffigurato, davanti ad un Arco d'Augusto non facilmente
riconoscibile, implorante il Cielo nel momento tragico in cui
affronta la morte.
La tela di Soleri Brancaleone fu in realtà eseguita nel 1794
per il Santuario di S. Gaudenzo e fu portata in S. Giovanni
al momento della distruzione di quella chiesa.
Questo ci serve ad introdurre un argomento al quale occorre
accennare, e per il quale riportiamo alcune note sul succitato
Santuario: esso era sorto nel IV secolo, sul primo "martyrium"
cittadino, ovvero sul primo luogo di sepoltura cristiano riminese
ove si tramandava fosse stato sepolto S. Gaudenzo, patrono della
città.
Sul luogo sorse poi anche un monastero che fu tenuto col rango
di abbazia sinché, una volta soppressi gli ordini monastici
e ceduto il tutto in mani private, santuario e monastero furono
atterrati per costruirvi un "casino di delizie" tra l'indignazione
generale. Sopravvisse solo una delle antiche catacombe che percorrevano
il sottosuolo dell'antico edificio con i sepolcri dei primi
santi e martiri riminesi: questa fu distrutta addirittura nel
1970 per costruirvi sopra un insufficiente e discutibile Palazzetto
dello Sport.
Ci siamo appena dilungati a parlare di S. Gaudenzo, perché,
al di là della triste fine, le sue ultime vicende riguardarono
direttamente anche la chiesa di S. Giovanni Battista; infatti
al momento delle distruzioni sappiamo che: "a proposito delle
reliquie, non tutte quelle sante ossa andarono perdute; perché
a cura del defunto Parroco di S. Giovanni Battista (dicesi col
concorso del Vicario Vescovile) molte furono tratte dalle antiche
casse di marmo, e riposte in altra di legno, furono traslocate
nottetempo nella Chiesa di S. Giovanni anzidetto, ove riposano
sotto l'altare primo verso la Sagrestia appellato ora di S.
Gaudenzo... In tale traslazione vennero comprese nominatamente
quelle dei Martiri Achilleo, Nerio ed Innocenza (... e con esse
molte di altri Santi raccolte confusamente ..." (L. Tonini,
Storia di Rimini, vol. I, p. 36).
L'altare di S. Gaudenzo, che si trovava sotto la pala del Soleri,
non esiste più; per quanto riguarda le reliquie, pur non essendovi
certezza assoluta, dovrebbero essere quelle ancora conservate
in una cassa lignea, riposta in una nicchia della terza cappella
a destra di chi entra, assieme ad altri reliquiari di origine
carmelitana. |
Fronte
Chiesa -
Architetto e capomastro Giuliano Cupioli
Profeta
Elia
portele di ingresso della chiesa
Particolare
delle volte affrescate
Particolare
dello stemma dei Carmelitani
Santi Carmelitani
Guido Cagnacci (160 -1663)
Seconda
cappella in San Giovanni Battista con al centro la tela di
Andrea Boscoli
San Giovanni
Battista
Andrea Boscoli (1550 - 1606)
La lapidazione
di San Gaudenzio 1790
Giuseppe Soleri Brancaleone (1750 - 1806)
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